Viaggio intorno alle competenze matematiche – Convegno Nazionale

Il discorso delle competenze in matematica.

di Emilio Ambrisi mathesis associazione

La  Mathesis,  ha la sede nazionale presso la seconda università di Napoli, grazie al dipartimento di matematica e fisica e al suo direttore diretto dal prof. Antonio d’Onofrio. E’ tra le più antiche associazioni d’insegnanti. Tanto antica che lo scorso anno ha festeggiato il suo centoventesimo anno di vita.
In 120 anni  sono cambiate molte cose, ma altre sono rimaste invariate. Nel frattempo la Mathesis ha mantenuto invariate la sua finalità e la sua funzione. La sua finalità è ancora quella di concorrere a migliorare gli esiti dell’insegnamento/apprendimento della matematica nelle scuole di ogni ordine e grado e il suo ruolo è ancora di essere associazione d’insegnanti, di unirli e sostenerli nella loro attività professionale, di essere il luogo del confronto e della riflessione scientifica e didattica, il grembo naturale della formazione in servizio, che è il tema che affronteremo nel pomeriggio e che si pone anche nell’ottica, come d’altronde questo convegno, di contribuire ad una migliore organizzazione dei territori in accordo a quello che è il presupposto della legge sull’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Ritornando ai 120 anni della Mathesis, ripensarne la storia, raccontarla, equivale a ripercorrere la storia dell’insegnamento della matematica in Italia e non solo in Italia, ma in tutti i Paesi del mondo. Ciò che è cambiato, ovviamente, nella misura in cui possono averlo determinato gli ultimi 120 anni di storia contemporanea, è il contesto in cui finalità e ruolo si esplicano. È mutata anche la scuola ovviamente ed è mutata, non poco, la matematica.
Inizialmente, il motivo stesso per cui la Mathesis fu costituita, fu di combattere una battaglia culturale per rivendicare l’importanza formativa della matematica e una sua più ampia e consistente presenza nei quadri orari degli indirizzi di studio. E i quadri orari dell’Italia post-unità erano allora abbastanza avari con la matematica. Quelli per il ginnasio inferiore – corrispondente alla scuola media (la scuola elementare era però di 4 anni) – riducevano l’insegnamento della matematica alla sola aritmetica e per una sola ora settimanale di lezione. Le discipline insegnate erano: italiano per 7 ore, latino 8 e 9 ore, greco 2 ore, storia e geografia per 4 ore e 4 ore anche per la ginnastica. A queste cinque materie si aggiungevano l’ora di religione e l’ora di aritmetica. Studiare i quadri orario nella loro sequenza cronologica equivale ad avere una visione d’assieme dei cambiamenti avvenuti nella scuola, atteso che rimangono tuttora lo strumento fondamentale dell’organizzazione scolastica.

Ma andiamo con ordine. Da allora, dai tempi in cui la Mathesis fu costituita nel 1895, la matematica ha progressivamente rafforzato la sua presenza e ha acquisito una centralità educativa e formativa indiscussa. Si è insegnata a tutti, anche alle donne e a cominciare dalla primissima infanzia, sconfiggendo il convincimento, ancora forte per tutta la prima metà del secolo scorso, che gli studi matematici non fossero congeniali alle donne, alla loro femminilità, né adatti alla fase pre-adolescenziale.
Si è insegnata a tutti in modo sempre più pervasivo, come disciplina universale comune a tutte le lingue e culture. Per più di mezzo secolo l’organizzazione degli studi di tutti i sistemi scolastici, in tutto il mondo, è stata costruita avendo a riferimento la lingua e la matematica e negli ultimi decenni il problema non è stato di convincere dell’importanza della matematica, ma di potenziarne ed elevarne i livelli d’apprendimento, unanimemente ritenuto essenziale per lo sviluppo scientifico, economico e sociale dei Paesi. Si è posto sì, ma in termini si potrebbe dire troppo esterni alla scuola, rilevando e comunicando l’apprendimento realizzato dagli studenti, ma senza agire sulle condizioni d’ambiente che tale apprendimento consentono; anzi, quasi a prescindere da esse, dalle stesse opportunità di apprendere e con il risultato del periodico e, per noi in Italia, oramai abituale allarme pubblico:

studenti italiani asini in matematica”.

Al di là di questo, come migliorare l’apprendimento della matematica è un problema serio, che ha soluzioni interne alla matematica, ma anche esterne, correlate ad un miglioramento complessivo del rendimento scolastico. In ogni caso non vi si può corrispondere rivendicando più ore di lezione, perché non è solo la matematica a richiederlo. Le discipline sono cresciute in numero e in consistenza e altrettanto sono cresciute le esigenze formative con la richiesta di spazi specifici per l’educazione civica, l’educazione alla salute, all’ambiente, alla legalità, all’intercultura. Non si può far fronte a tutte le proposte di insegnamenti i più diversi, disciplinari e trasversali, gonfiando il tempo scuola e i relativi quadri orari. È questo un vero problema di sostenibilità per i sistemi scolastici e una vera sofferenza: troppe cose da insegnare, troppe discipline. Aumentare il tempo scuola è peraltro incompatibile con la situazione di crisi economica, con i tagli imposti dalle necessità di contenimento della spesa pubblica e il regime di austerity che, in particolare in Italia, hanno determinato la scelta della riduzione delle ore settimanali delle lezioni in tutti gli indirizzi degli studi secondari superiori “riordinati” nel 2010.
La soluzione più ambiziosa che mobilita sul piano culturale e scientifico è il superamento del modello dell’organizzazione degli studi basata sulle discipline: finché esisteranno le discipline, come sistemazione dei saperi, le ore di lezione saranno sempre poche. È questa l’esigenza in cui trova la sua radice il nuovo discorso delle competenze. Un discorso, però, portato avanti con una molteplicità di interpretazioni che disorientano per quanto sono divergenti. In effetti un discorso sulle competenze c’è sempre stato. La scuola del leggere scrivere e far di conto di antica memoria perseguiva competenze essenziali sia quando si trattava di dare una lingua comune agli italiani e di combattere l’analfabetismo, sia quando occorreva educare e formare alla cittadinanza attiva, educare a vivere e fruire della ritrovata libertà e della democrazia. Un significato che si trova mirabilmente espresso nei programmi per la scuola elementare del 1955 :

  • “Nell’auspicare una scuola che insegni per davvero a leggere si esige che da essa escano ragazzi che ragionino con la propria testa, giacché saper leggere è ben anche aver imparato a misurare i limiti del proprio sapere e ad esercitare l’arte di documentarsi.
  • Analogamente saper scrivere vale saper mettere ordine nelle proprie idee, saper esporre correttamente le proprie ragioni.
  • Quanto a far di conto, nel nostro secolo, che è il secolo dell’organizzazione e delle statistiche, è chiaro che una persona è tanto più libera quanto più sa misurare e commisurarsi.”

Un documento di grande valore pedagogico, scritto bene, come oggi non si riesce più a fare, forse perché manca il tempo. Tutto si fa con tanta fretta. Saper leggere e scrivere, come i programmi del 1955 le descrivono, sono competenze sempre auspicabili invarianti nel tempo; ne dipendono solo per la complessità di acquisirle presupponendo più cose, più registri di lettura e modalità di scrittura. La Lingua madre non è più sufficiente, la globalizzazione esige la conoscenza di più Lingue e in quanto al far di conto, coinvolge aritmetica, statistica, probabilità e molto di ciò che nell’acronimo inglese STEM è Science, Technology, Engineering and Mathematics. Nei futuri piani di studi al posto delle discipline potrebbero bene figurare come insegnamenti pluridisciplinari leggere, scrivere e far di conto.

In definitiva, quella in corso non è più una lotta di classe fra discipline né di prestigio per ottenere più ore di lezione nei piani di studio. È una battaglia più generale. Riguarda la scienza e la sua gestibilità, la società e il suo immenso patrimonio di sapere. Come trasmetterlo nella sua interezza e nei suoi valori, come far sì che il genere umano, che continuamente impara tante cose, altrettante non ne dimentichi; cosa si dovrebbe insegnare a scuola e cosa si dovrebbe apprendere per essere buoni cittadini del mondo, sono le conquiste per cui si lotta. E molto ci si aspetta dalla matematica, dalla sua guida. Della problematica disciplinare è stata sempre il faro nonché il modello costitutivo. Le discipline esistono perché esiste la matematica che, prima fra tutte, si è costituita come tale e ne ha offerto il modello della sistemazione logica: dal più semplice al più complesso, senza salti, con ordine, connessione e graduazione gerarchica. La matematica però è stata anche la prima a soffrire di una crisi di crescita, di una pervasività che non conosce steccati e frontiere. E’ stata la prima ad avvertire l’impossibilità di una sistemazione logica di tutti – ammesso che la parola “tutti” abbia qui un significato – i suoi risultati. Una sistemazione logica universalmente accettata che potesse anche essere, come in passato, il riferimento per una organizzazione didattica dei contenuti disciplinari. E’ stata la prima a correre ai ripari di fronte al rischio, ancora pressante, di frantumarsi nella pletora di capitoli e sotto-capitoli della specializzazione o di perdersi nei rivoli del problem solving, dell’aspirazione alla contestualizzazione, del pensiero computazionale e del coding, della financial literacy, e, ancora, della meccanizzazione, dell’astrazione, della formalizzazione, della modellizzazione e così via. La strategia vincente è stata individuata nella selezione, nella sua immensa miniera di idee, teorie e procedure, delle conoscenze e delle competenze essenziali di cui è portatrice e che hanno una natura squisitamente trans-disciplinare, si pongono come strumenti di connessione tra saperi, sono unificanti. E’ la strategia ritenuta il primo passo per muovere verso il superamento dell’organizzazione degli studi per discipline e consentire un rinnovamento pedagogico di grande rilievo che trae forza da un discorso didattico che non ricalca o ricapitola e ripercorre una sistemazione già fatta ma è ri-proposto, rivisto, ri-progettato in modo funzionale alle mete di conoscenze e competenze che la collettività ritiene essenziali per l’educazione e la formazione dei giovani. E’, in definitiva la strategia che è stata già recepita nella legge sull’autonomia delle istituzioni scolastiche ed è il principio che assegna al programma d’insegnamento, al passo dopo passo dell’azione didattica, una dimensione non più nazionale ma locale, affidato alla responsabilità dei docenti, delle scuole, dei territori.

 

 

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ll “Centro Studi e Alta Formazione Maestri del Lavoro d’Italia” in sigla “CeSAF MAESTRI DEL LAVORO” è legalmente costituito in associazione culturale, senza scopo di lucro. Cura e promuove la formazione dei Maestri del Lavoro aderenti e degli affiliati laici intesi come persone non insignite Stella al Merito, ma che perseguono gli stessi fini quali: favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e a diffondere i sani principi a esso connessi, così come richiesto dal decreto del ministero del lavoro firmato dal presidente della repubblica per l’assegnazione della Stella al Merito.

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