La Matematica ed il Neoidealismo Gentiliano e Crociano

 

di Marcello Pedone
Nonostante vari segnali positivi degli ultimi tempi, non mancano occasioni in cui si può verificare che in Italia vi è un basso livello di percezione della cultura scientifica e matematica. Purtroppo, paghiamo ancora lo scotto del retaggio di un’impostazione culturale-pedagogica novecentesca tipica del Neoidealismo di Croce e Gentile. Secondo Benedetto Croce la scienza ha una valenza puramente pratica e utilitaristica, priva di capacità cognitive autentiche. Essa viene così ad essere ridotta a mera specializzazione settoriale e ad occupare una posizione subalterna rispetto alla “cultura universale” umanistica. Sono emblematiche anche le parole di Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione dal 1922 al 1924, secondo il quale la matematica è “morta, infeconda, arida come un sasso”, e lo studio delle scienze nella scuola ha prodotto “dannosissimi frutti”. Come conseguenza di questo tipo di approccio, l’insegnamento-apprendimento scolastico della matematica è spesso svolto in modo astorico, senza cioè tener conto dello sviluppo cronologico delle idee matematiche. Così personaggi come Pitagora, Euclide, Cartesio o Newton sono stati appiattiti su un orizzonte senza tempo, pure etichette appiccicate ad aride formule o teoremi. La constatazione di un’impostazione molto tecnicistica dell’insegnamento-apprendimento della matematica viene evidenziata dal fatto che spesso i contenuti matematici vengono recepiti dallo studente medio in modo meccanico e superficiale, privilegiando lo sviluppo di capacità di risoluzione di determinati problemi rispetto alla comprensione dei problemi stessi e delle idee che ispirano certi procedimenti. Molti di essi arrivano all’Università con chiare difficoltà di comprensione della struttura di un enunciato matematico, dei ruoli di ipotesi e tesi, del significato del concetto di dimostrazione. Ciò rammarica molto, soprattutto se si pensa esistono matematici italiani di prim’ordine nel panorama internazionale la cui produzione scientifica raggiunge spesso traguardi di eccellenza. Credo che il primo passo per il superamento di questo stato di cose, al di là di una grande capacità di trasposizione didattica del sapere matematico, sia di insistere nel presentare la matematica non come un qualcosa di estraneo alla cultura generale o alla vita della persona comune, ma come un corpus perfettamente integrato. A volte, mi capita di leggere o ascoltare “divulgatori” che per giustificare lo studio della matematica si sforzano di redigere liste sempre più lunghe di applicazioni della matematica. Sicuramente qualche importante applicazione va evidenziata, ma mi soffermerei maggiormente sugli aspetti intrinseci della matematica, sul come il ”fare matematica” non sia poi così distante da altre forme di sapere o di arte. A tal riguardo, mi tornano alla mente le parole scritte nel 1934 da E. Pound, secondo il quale “la grande letteratura è semplicemente linguaggio investito, in somma misura, di significato. … [In particolare] la poesia è la forma più sintetica di espressione verbale. In tedesco dichten (condensare) è il verbo corrispondente al sostantivo astratto dichtung che significa poesia”. E cosa è la matematica se non un certo tipo di linguaggio che tende a rappresentazioni (formule e teoremi) pregni di senso (e, per far contenti gli utilitaristi, di applicazioni)? Un esempio: “Fissato un numero primo p, risulta che p è un divisore di a^p-a , comunque si considera un intero a”. E’ questo il contenuto del famoso Piccolo Teorema di Fermat. Esso permette di ottenere alcuni importanti risultati sui numeri perfetti, argomento della teoria dei numeri, la parte “più pura della matematica pura” (Davenport), e al tempo stesso, su tale teorema si basa il crittosistema RSA che ci consente di acquistare delle cose attraverso internet, tenendo sicuri i dati della nostra carta di credito. Pensiamo a come funziona il cervello, a come l’elaborazione del pensiero avvenga attraverso blocchi concettuali frutto di somiglianze e analogie. Se ciò non avvenisse la normale memoria sarebbe impossibile e così la stessa vita. Saremmo come Funes, il personaggio di quel racconto di Borges, che a causa di un incidente, acquista una memoria potentissima in cui però non ci sono concetti ma solo una rappresentazione di moltissime cose che sussistono contemporaneamente: la sua “vita” diventa così un’insonnia perenne. Diceva Poincarè che la “matematica è l’arte di chiamare cose diverse con lo stesso nome”. Pertanto, quando si fa matematica non ci si allontana molto da quello che avviene nelle testa di ognuno di noi. La Scuola e la divulgazione matematica dovrebbero rimarcare di più questi aspetti. Mi piace concludere queste poche riflessioni ricordando una delle tracce date all’esame di maturità del 1996 che dimostra come spesso la sensibilità verso certi approcci sia presente, sebbene in modo episodico. Si chiedeva agli alunni di commentare la seguente frase scritta da D. E. Smith nel 1947: “La matematica è generalmente considerata proprio agli antipodi della poesia. Eppure la matematica e la poesia sono nella più stretta parentela, perché entrambe sono il frutto dell’immaginazione. La poesia è creazione, finzione; e la matematica, […], è la più sublime delle finzioni.”

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