Su invito della Fondazione Ugo La Malfa di Roma con la quale il CESAF ha stipulato una apposita convenzione per l’orientamento dei giovani al mondo dell’economia, una delegazione guidata dal ns referente romano Grande ufficiale e Mdl Gianluigi Diamantini, e con la parteciazione del Presidente Cav. UFF. Mdl Mauro Nemesio Rossi, ha partecipato nella stupenda Sala del Refettorio, Biblioteca dei deputati, alla cerimonia di celebrazione del 40° anniversario della scomparsa di Ugo La Malfa. A presiedere i lavori è stato Paolo Savona, (ministro per gli Affari esteri Europei). Sono Intervenuti: Enzo Moavero Milanesi (ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), Mario Di Napoli (capo ufficio della Segreteria Generale Preposto alla Direzione), Gerardo Bianco (presidente dell’Associazione Nazionale degli Interessi del Mezzogiorno d’Italia), Corrado De Rinaldis Saponaro (coordinatore politico nazionale del Partito Repubblicano Italiano), Piero Craveri (professore emerito di Storia contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.) ed infine Giorgio La Malfa (economista, presidente della Fondazione Ugo La Malfa).
È stato un fervente sostenitore della collocazione occidentale del Paese. Meglio, uno sfegatato sostenitore della scelta “atlantista”, al fianco della Nato. Con gli Usa ha avuto un’interlocuzione privilegiata, al punto tale da guadagnarsi in un’epoca di “guerra fredda” – finita solo con l’89 e il crollo del Muro di Berlino, che non ebbe la fortuna di vedere perché scomparso esattamente il 26 marzo di dieci anni prima – l’epiteto spregiativo, per l’epoca, di leader del “Partito amerikano”, scritto con la kappa.
Sono trascorsi 40 anni dalla morte di Ugo La Malfa, segretario per dieci anni tra il 1965 e il 1975 del Partito Repubblicano (anche questo a volte scritto con la k), il Pri, a cui aderì nel 1946 dopo aver fondato il Partito d’Azione nel 1942. Più volte ministro, dei Trasporti, del Commercio estero, di Bilancio e Tesoro e deputato a partire dal 1946. E vicepresidente del Consiglio nel IV governo Moro (1974-1976). Dunque, un padre Costituente. O della Patria. Un fondatore della Repubblica.
La Malfa si è battuto tenacemente per l’intervento regolatore dello Stato nell’economia, per il controllo della spesa pubblica, per i tagli a quella parassitaria, per una rigorosa politica anti-inflattiva fino “a sostenere tutte le tesi più impopolari” che hanno avuto come fine quello di bloccare la corsa sfrenata delle rivendicazioni salariali di settore, nel tentativo di arrestare quella che Giovanni Spadolini, anch’egli repubblicano, già Presidente del Consiglio e poi Presidente del Senato, ebbe a definire “la Caporetto economica nel Paese” in un discorso ufficiale a due anni dalla sua scomparsa, il 6 aprile 1981.
Ed è anche stato un convinto nuclearista, in particolare all’indomani del disastro di Cernobyl, il 26 aprile 1986, attraverso la “longa manus” del suo ministro dell’Industria del tempo, Adolfo Battaglia. E poi molto legato a Enrico Cuccia, il potentissimo Presidente di Mediobanca.
Il rapimento di Moro, poi Sindona e Gelli
Di lui, il giorno del rapimento di Aldo Moro, il 16 marzo 1978, si ricorderà anche l’intervento sostenuto a caldo alla Camera dei deputati, a poche ore dall’eccidio della scorta del Presidente Dc in via Fani, un durissimo discorso – nell’ora più drammatica e buia della storia della Repubblica – in cui La Malfa fissava non solo la “linea della fermezza” sposata insieme al Pci di Berlinguer, ma proponeva allo Stato democratico di rispondere ad una “dichiarazione di guerra” con un’altrettanta dichiarazione di guerra:
“E non parlo così – come è stato detto questa mattina – perché sono stato preso dai nervi, ma perché conosco i rischi e i pericoli della vita politica. (…) Nessuno, ripeto, può proteggere i reggitori dello Stato, ma l’ultimo dei cittadini ha diritto alla nostra protezione, e questo deve essere il nostro impegno. A situazioni di emergenza debbono corrispondere provvedimenti di emergenza; altrimenti, questa emergenza finisce per diventare nient’altro che un luogo comune, e non serve che a riempirci la bocca”.
Dichiarazione che viene letta come la richiesta di introdurre la “pena di morte” in un ordinamento a carattere speciale.
Il nome di Ugo La Malfa significa anche lotta senza quartiere all’emergenza morale, simboleggia la risposta dell’Italia specchiata e onesta contro tutti i centri di potere “corrotti e inquinati, visibili e invisibili”. E qui il riferimento è alla sua ferrea opposizione alle cospirazioni affaristiche del banchiere privato Michele Sindona e alla ragnatela della P2, la Loggia segreta di Licio Gelli che ha penetrato, permeato e infestato lo Stato e tutti i suoi apparati.
È stato poi – a partire dal 1976 – anche un accanito sostenitore dell’”unità nazionale” e dell’ingresso dell’allora Partito comunista italiano nell’area di governo il sintonia con le tesi sostenute da Aldo Moro. Tanto che in quel periodo, in forza delle sue più che ottime relazioni con Oltreoceano, si spende e mette in atto un’ampia strategia per convincere la classe politica, economica e militare degli Stati Uniti ad accettare di buon grado l’esperimento della solidarietà nazionale, fors’anche nel tentativo di rassicurare l’alleato e contrastare così sul fronte interno le pulsioni delle componenti più retrive della società e della politica italiana. Spingendosi, a sostegno di questa necessita, a scrivere un importante articolo sulla prestigiosa rivista americana “Foreign Affairs”. Ma quando questo viene pubblicato nel marzo del 1978, Moro viene rapito dalle Br.