Giornalismo scientifico: che fine ha fatto LA FUSIONE FREDDA ?

Relazione Presentata all’Università Della Campania Luigi Vanvitelli di Caserta

il 19 febbraio 2018 dal CeSAF Maestri del Lavoro d’Italia. 

corso  Giornalismo Scientifico con gli studenti del liceo Giannone di Caserta nell’ambito dell’alternanza scuola lavoro 

 

Il 23 Marzo 1989 due elettrochimici dell’università dello UTAH, Martin Fleischmann e Stanley Pons, attraverso una conferenza stampa annunciarono al mondo scientifico e mediatico la scoperta di quello che loro stessi chiamarono “la fusione fredda”.

Per comprendere esattamente questa ricerca è necessario introdurre brevemente cosa sia la fusione nucleare: la fusione nucleare è la reazione mediante la quale due nuclei leggeri, spesso Idrogeno o suoi isotopi, entrano in collisione fondendosi in un unico nucleo più pesante.Tale reazione quando avviene, sviluppa una grande quantità di energia. Un esempio molto conosciuto di fusione nucleare è quella che avviene all’interno della fornace nucleare del nostro Sole, che emette luce, calore e quindi energia ogni volta che due nuclei di Idrogeno si avvicinano tra loro a tal punto da fondersi e diventare, grazie ad una serie di reazioni nucleari, un nucleo di Elio-4. Anche se schematizzata in poche parole,in realtà tale reazione nucleare si completa attraverso passaggi molto complessi ma, possiamo certamente dire che la causa dell’avvicinamento dei nuclei di idrogeno è data dalla fortissima agitazione termica, generata dalla elevata pressione fra i nuclei di idrogeno, dovuta alla attrazione gravitazionale che tiene compressi i nuclei ad alta densità.

Le temperature estremamente elevate (circa 15 milioni di °C) , generate da questa immensa pressione, fanno si che i nuclei acquisiscano una energia sufficiente per poter vincere la reciproca repulsione elettrostatica “la cosiddetta barriera Coulombiana” avvicinandosi al punto tale da determinare la fusione. Condizioni di questo tipo, nonostante siano apparentemente ben comprese, non sono facilmente riproducibili sulla terra. In tutto il corso del novecento, e attualmente, notevoli sono stati i risultati raggiunti dagli scienziati in questo campo, tuttavia non si è ancora riusciti ad avvicinarsi molto alle condizioni che si hanno all’interno del nucleo solare ove la reazione si “autosostiene”.
Fra i traguardi conseguiti tuttavia, come esempio, anche se tristemente famoso si può citare la realizzazione della famigerata bomba H. In essa, utilizzando una miscela di Deuterio e Trizio, due isotopi dell’idrogeno, si possono raggiungere le condizioni che possono innescare la fusione (di tipo esplosivo) utilizzando l’energia di una bomba atomica a fissione (simile a quella usata per Hiroschima). La bomba è in grado di produrre una temperatura molto intensa che è in grado certamente di superare i 15.000 °C necessari per la fusione dei due nuclei. Per questo motivo, tale tipo di fusione nucleare è detta Termonucleare o ‘calda’; in contrapposizione a quella non termonucleare o ‘fredda’, così detta perché condotta a temperatura ambiente e a pressione atmosferica.
Ecco spiegato il termine “Fusione fredda” oppure “Cold fusion” espressione anglosassone che definisce appunto una fusione dei nuclei che avviene a temperatura molto, ma molto più bassa dei 15.000°C richiesti. La bomba termonucleare è quindi un’applicazione, tristemente famosa, che consente in un certo modo di ottenere fusione di nuclei leggeri in elementi più pesanti.
Tuttavia è importante dire che quando nel 1989 i due ricercatori fecero la famosa conferenza stampa, anche se inizialmente il mondo scientifico sembrò interessarsi a questo esperimento, qualche tempo dopo le reazioni dei media e di alcuni scienziati fu opponente a questa scoperta. I due scienziati furono accusati di aver sbagliato la corretta preparazione dei dati e il MIT  – Massachusetts Institute of Technology – diede un giudizio estremamente negativo. In quest’articolo non si vogliono analizzare varie situazioni che si sono verificate a ridosso di quegli anni. Ne, vogliamo citare la strana morte del dott. Eugene Mallove editore e curatore della rivista “Infinite Energy”  (ancora oggi diffusa negli U.S.A.) avvenuta nel maggio del 2004, trovato morto dopo un pestaggio da sconosciuti all’esterno della sua abitazione. Quello che pochi sanno è che Eugene Mallove, scoprì che i test di Fusione Fredda fatti dal suo istituto avevano in effetti registrato calore in eccesso, ma i dati erano stati manipolati prima della pubblicazione, per far apparire il contrario e quindi discreditare i due elettrochimici. Preferendo, in questa sede, non trattare deliberatamente queste congetture e questi fatti che sono accaduti circa 30 anni fa, cerchiamo solo di capire come funzionava la cella elettrolitica dei due elettrochimici Martin Fleischmann e Stanley Pons.

La fusione fredda, basata su tale tipo di confinamento, è caratterizzata dalla proprietà che ha il Palladio nei confronti dell’idrogeno e dei suoi isotopi. Esso, come una sorta di spugna, riesce ad assorbire (caricarsi) di una grande quantità di questo elemento. Anche il cobalto o il nickel hanno la stessa proprietà ma il palladio è l’elemento chimico nel quale questa proprietà è maggiormente pronunciata.

L’interazione tra Palladio e Idrogeno in condizioni di caricamento è, tuttora, oggetto di numerosi studi da parte della fisica della materia condensata in quanto le anomalie riscontrate in questo tipo di sistemi attendono ancora una rigorosa interpretazione fisica.Proprio in questo genere di studi si inserisce la cella elettrolitica a “fusione fredda” presentata da Fleischmann e Pons nella famosa conferenza stampa del 1989.L’apparato dei due ricercatori era costituito grosso modo da una soluzione di acqua pesante (nient’altro che acqua col Deuterio al posto dell’Idrogeno) in cui sono immersi due elettrodi, il negativo (catodo) costituito da Palladio e il positivo (anodo) da Platino. Alimentando la cella elettrolitica dall’esterno fornendole semplicemente energia elettrica si ha, come noto, il passaggio di una corrente da un elettrodo all’altro attraverso la soluzione elettrolitica che determina migrazione degli ioni in soluzione. Il deuterio, (D+), attratto dal polo negativo di palladio, si introduce in copiose quantità all’interno del reticolo cristallino finchè, raggiunte determinate condizioni, inizia a generare una serie di prodotti “anomali” per una semplice elettrolisi : Elio, Trizio, neutroni, raggi gamma e raggi X. Inoltre si registra la produzione di una quantità di energia sotto forma di calore che, confrontata con quella fornita in ingresso, risulta essere maggiore.  

Secondo Fleischmann e Pons, l’instaurarsi di quella che si presenta come una reazione di fusione nucleare, è dovuta alle particolari proprietà cristallografiche del Palladio che, fungendo in tal modo da catalizzatore, imprime ai nuclei degli atomi di Deuterio delle condizioni di risonanza da farli fondere.

Diverse interpretazioni del fenomeno, seppur in grado in qualche modo di giustificare l’eccesso di calore prodotto, non potevano rientrare all’interno di nessuna reazione chimica nota, in quanto in nessun caso si ha concomitanza di trasmutazioni di idrogeno in elio, generazioni di neutroni ed emissioni gamma. Solo una reazione nucleare di fusione del Deuterio poteva giustificare quanto riscontrato.

I risultati principali dei loro esperimenti furono che le celle elettrolitiche avevano prodotto una potenza di 4 Watt contro 1 Watt fornito, con un rendimento quindi del 400%; i neutroni, in alcuni casi, sono stati prodotti con un ritmo di circa 40.000 al secondo; (per i detrattori della fusione fredda, per poter parlare di vera e propria fusione, i neutroni prodotti per secondo dovrebbero essere almeno mezzo miliardo).

In seguito altri, rifacendosi alla strada aperta dagli esperimenti dei due elettrochimici, giunsero a risultati analoghi. In taluni casi la rilevazione dei neutroni prodotti era affidata a due metodi diversi: la via elettrolitica o ‘umida’ (adottata da Fleischmann e Pons) e la via del ‘caricamento gassoso’ o ‘secca’ (avviata nei laboratori dell’ENEA di Frascati) in cui il Deuterio veniva caricato nel Titanio (non nel Palladio) sotto forma di gas. In ogni caso divenne ben presto evidente che la via elettrolitica “umida”, rispetto a quella secca, presenteva numerosi vantaggi, soprattutto riguardo una maggiore facilità nel caricamento del Deuterio nel Palladio, dovuta al fatto che il meccanismo dell’elettrolisi alla superficie degli elettrodi, responsabile della penetrazione dei nuclei di Deuterio all’interno del reticolo cristallino del Palladio, equivale a condizioni di pressioni equivalenti a quelle di molte migliaia di atmosfere, difficilmente raggiungibili con il caricamento per via gassosa.

Nonostante l’eclatanza dei risultati presentati, gran parte della comunità scientifica internazionale accolse con molte polemiche i risultati sperimentali e tuttora permangono scetticismo e sfiducia in questo campo.

Uno dei principali dubbi avanzati dalla comunità scientifica, sono legati proprio al tipo di reazione di fusione tra i due nuclei di Deuterio ipotizzata dai due elettrochimici. Infatti, in esperimenti analoghi condotti in condizioni di quasi-vuoto (cioè non in presenza di materia condensata come per il Palladio), si verifica che, nella reazione tra due nuclei di Deuterio, nel 50% dei casi si hanno come prodotti: Neutrone + Elio-3; nell’altro 50% si hanno: Protone + Trizio; infine, con una bassissima probabilità (una su un milione), si hanno: Elio-4 + raggi Gamma + calore. Invece, nella stragrande maggioranza degli esperimenti sulla fusione fredda è stata rilevata una debolissima traccia di Neutroni e di Trizio, mentre risulta essere di gran lunga la reazione dominante quella in cui si ha la produzione di Elio-4.
In altre parole i fisici detentori della fusione calda sostengono che negli esperimenti di fusione fredda la produzione prevalente di Elio-4 è un’anomalia inaccettabile in quanto ci sono reazioni che presentano una maggiore probabilità di successo, ma che, inspiegabilmente, non si verificano nella cella Pons-Fleischmann. I detentori della fusione fredda giustificano il riscontrarsi di questa anomalia basandosi sulle differenti condizioni che si hanno conducendo esperimenti nel vuoto ed esperimenti all’interno di matrici cristalline.

Un ulteriore motivo di polemica scaturisce dal fatto che la produzione di Elio-4 non è accompagnata dall’emissione di raggi gamma, cosa che invece avviene nella fusione ‘calda’.

Ad oggi tuttavia, il vero nodo della polemica, più che basarsi su disquisizioni fenomenologiche meramente accademiche, si basa sulla mancata riproducibilità di questo genere di esperimenti. In pratica, gli effetti descritti quali eccessi energetici ed emissioni di particelle e radiazioni non si presentano sempre, ma solo al verificarsi di specifiche condizioni, per ora solo in parte capite. Arrivare a capire tutti gli ingredienti della “ricetta risulta di fondamentale importanza, non solo per un fatto di applicazione delle eventuali potenzialità tecnologiche, ma ancor più per un migliore studio e una definitiva comprensione del fenomeno. Nonostante questo grosso problema sperimentale, ancora in fase di risoluzione, da un punto di vista teorico numerosi sforzi sono stati compiuti nella comprensione dell’origine dei meccanismi alla base degli effetti dei fenomeni di “fusione fredda’. Fortunatamente oggi tutti i ricercatori internazionale che studiano questo genere di anomalie hanno costituito un’associazione chiamata ICMNS – The International Society for Condensed Matter Nuclear Science –  e il sottoscritto ne fa parte. Possiamo quindi affermare che numerosi sono gli studi che vengono fatti su questi fenomeni. In tutto il mondo c’è un grosso fermento, dal Giappone, la Russia, la Francia l’America e chiaramente anche in Italia si riscontrano strane anomalie nel palladio e anche nel nichel o addirittura nella costantana (una lega di rame e nichel studiata dall’Italiano Francesco Celani dell’ENEA di Roma) ) che vengono a tuttoggi studiate. 

Una delle teorie più solide e coerenti da un punto di vista fisico fu enunciata da un docente di Fisica Nucleare dell’Università di Milano, il prof.Giuliano Preparata, che elaborò la sua ‘teoria coerente sulla fusione fredda’. Tale teoria si basa sull’elettrodinamica quantistica (QED) nella materia condensata. Secondo la fisica quantistica, la materia consiste in un insieme numerosissimo di sistemi elementari (come atomi, molecole, ecc.) tenuti insieme da forze elettrostatiche, come la forza di Coulomb, e da altre forze fondamentali, caratterizzate da un cortissimo raggio d’azione: le forze elettrodinamiche. Tali campi quantistici, secondo Preparata, se messi in condizioni di risonanza col campo elettromagnetico, hanno la caratteristica di esercitarsi a grandi distanze e pur essendo deboli fra due corpi, suppliscono a tale limitazione con enormi fattori di amplificazione dovuti a tale natura cooperativa (o coerente).

Preparata, con questa interpretazione, affiancò tali forze all’analisi teorica della elettrodinamica quantistica all’interno della materia condensata riuscendo a giustificare l’origine dei risultati sperimentali di Fleischmann e Pons e, in molti casi, a fare previsioni corrette sui risultati da ottenere.

Nel 2004 proprio l’anno in cui Eugene Mallove fu trovato morto tre ricercatori di Caserta Domenico Cirillo, Alessandro Dattilo e il sottoscritto realizzarono un esperimento molto diverso da quello realizzato dai due elettrochimici dello UTHA nel 1989. L’esperimento era costituito da una cella giapponese del professor Tadahiko Mizuno abilmente modificata e migliorata che funzionava ad acqua distillata e non con l’acqua pesante. La cella fu chiamata G.D.P.E.  (Glow Discharge Plasma Electrolityc), inoltre questo dispositivo usava tungsteno all’elettrodo negativo e non palladio. Visto i costi dei materiali più abbordabili iniziarono numerosi esperimenti già dalla fine del 2004  che culminarono nel 2012. Da questa campagna di prove si scoprirono numerose anomalie che mostravano che nella cella di CASERTA alcuni atomi si tramutavano in altri. Anche se inizialmente il mio gruppo annuncio che la cella produceva anche anomalie di energia cioè un aumento di energia nella cella,  ritrattammo nel 2009 questa dichiarazione poiché ci accorgemmo che il dispositivo era estremamente disturbato da segnali elettromagnetici che si auto producevano per le peculiarità del suo funzionamento.

Nonostante tutti questi sforzi tuttavia, per poter fugare qualsiasi dubbio, si attende la presentazione di un dispositivo in grado di fornire una potenza adeguata, almeno ad un uso domestico, che funzioni con continuità sfruttando un fenomeno totalmente riproducibile.

Se in futuro ci fosse la possibilità di rendere utilizzabili tali apparati a fusione fredda, potremmo sicuramente creare una valida alternativa all’attuale, quasi totale, dipendenza energetica dai combustibili fossili; ovviamente per fare ciò occorrono volontà scientifiche notevoli e, soprattutto, disponibilità di fondi e di strutture. Tutte cose che, ad oggi, nell’ambito della fusione fredda, sembrano mancare.

Vincenzo Iorio

Caserta li 19/02/2018

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